Hojo Fan City

 

 

 

Data File

Rated G - Prosa

 

Autore: fire

Status: In corso

Serie: City Hunter

 

Total: 18 capitoli

Pubblicato: 06-09-08

Ultimo aggiornamento: 09-09-08

 

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RomanceSongfic

 

Riassunto: Kaori lo guardò negli occhi incredula. Gli stessi fotogrammi passavano veloci nella sua mente, ripetendosi all'infinito. Dopo di che si girò ed abbandonò correndo la chiesa con l'enorme stupore di tutti mentre salate lacrime solcavano il suo viso e nell'andarsene perse pure il velo col diadema. Mentre ripensava alla notte in cui lei e Ryo avevano fatto l'amore per la prima volta. Alle emozioni che aveva provato. Quella stessa notte in cui lui le aveva dichiarato il suo amore e le aveva chiesto di sposarla. Ora, tutti quei ricordi offuscati dagli attimi di dolore più intensi che avesse mai provato in vita sua. Come se il suo cuore si fosse atrofizzato. In un'unica strettissima e lacerante morsa di gelo.

 

Disclaimer: I personaggi di "Morsa di gelo" sono proprietà esclusiva di Tsukasa Hojo, quelli appartenti al manga. Mentre quelli inventanti frutto della mia fantasia, sono di mia proprietà. Così come le locations fuori dal Manga originale.

 

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   Fanfiction :: Morsa di gelo

 

Capitolo 9 :: 9. Come una spada di Damocle

Pubblicato: 06-09-08 - Ultimo aggiornamento: 06-09-08

 


Capitolo: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18


 

Santa Ana Maya, 21 Luglio 1985  

 

- 9 - COME UNA SPADA DI DAMOCLE  

 

Fermo immobile, che osservava ancora il corpo inerme di sua sorella disteso al suolo. Con un rimorso dentro che non avrebbe mai più potuto cancellare. Avrebbe voluto morire con lei. Ma Lincoln lo prese per la maglia, lo sollevò di peso e lo trascinò via. E mentre, tre secondi dopo la Z26 rase al suolo tutta la zona circostante nel raggio dei suoi 20 metri, lo bellissimo spettacolo del tramonto poteva illuminare tutto il campo di battaglia.  

 

Con le braccia dietro alla nuca, con una coperta di lana che gli arrivava a metà torso, chiuso nel suo logoro sacco a pelo compagno di mille avventure, guardava quello scorcio di cielo che si poteva intravedere dalle fronde degli alberi che oscillavano con movimenti confusi al passare di quella leggera brezza. Era pieno luglio e se non fosse stato per il vento che rinfrescava l'aria e portava via la polvere dei suoi ricordi, forse non sarebbe riuscito a sopravvivere contemporaneamente a quell'afa ed ai rimorsi della sua coscienza. Questi vacui pensieri, il venticello, le fronde degli alberi e lo spettacolo dell'alba messicana, cercavano inutilmente di tenerlo lontano dal ricordo di quello che era successo non molte ore prima. La morte di sua sorella Zoe.  

 

L'aveva persa. Lui l'aveva uccisa.  

 

Sapeva benissimo che sarebbe morta di lì a pochi istanti, ma premere quel grilletto per spedirla subito all'altro mondo impedendole di soffrire ulteriormente, gli era sembrato troppo bello e nello stesso tempo troppo orribile. Così avrebbe smesso di soffrire. Si era ripetuto per tutte le ore successive come una incessante cantilena. Ma non sarei dovuto essere io a farle questo. Il tarlo del rimorso pendeva su di lui come una spada di Damocle.  

 

Indeciso, titubante, speranzoso.  

 

Indeciso, su quale sarebbe dovuta essere stata la decisione giusta da prendere. Titubante, su quanto gravi sarebbero stati i rimorsi della sua coscienza. Speranzoso, su quale giustificazione piuttosto valida avrebbe dovuto trovare a se stesso per riuscire a far tacere quello stato di irrequietudine che gli stava penetrando dentro come una malattia contagiosa. I pensieri. Quelli sì, che scorrevano liberi senza lasciare tregua. Un momento prima a pensare che ciò che aveva fatto l'aveva fatto per il suo bene, per il bene di entrambi. Ed un momento dopo a detestarsi per averlo fatto. Come una pallina da ping-pong che rimbalzava, in un terribile e macabro gioco di squash, da una parete all'altra di una dannata stanza bianca quadrata segnando sul muro, ad ogni suo passaggio, l'alone di un'ombra grigia. E con il passare delle ore quell'ombra si espandeva sempre di più sulla parete di quella dannata stanza bianca quadrata. Un'angoscia terrificante che gli invadeva le membra come per dire: chi sei tu per decidere sulla sua vita? Chi sei tu per decidere sulla sua morte? E poi, un attimo dopo, quei pensieri si tramutavano in un sollievo. Un terribile straziante e penoso sollievo per averla fatta morire dignitosamente. In fondo, se lui fosse stato al suo posto, glielo avrebbe sicuramente chiesto proprio come lei aveva fatto.  

 

In quell'istante, tutti i momenti trascorsi con lei risalirono su dal profondo degli abissi della sua mente.  

Risalirono così violentemente e tutti in una volta che quasi gli mancò il respiro. A tutti sarebbe mancata Zoe. A lui, ad Ambra ed a Marzia principalmente, con la quale dopo l'accaduto non aveva più scambiato parola.  

 

Ma sapeva che loro non si sarebbero arrabbiata con lui per questo. Semplicemente avrebbe voluto e dovuto dar loro il tempo per metabolizzare l'accaduto.  

 

Marzia non era una che si scomponeva facilmente. Marzia non era una che manifestava apertamente i suoi sentimenti.  

 

Marzia era come lui. E Zoe, beh Zoe... era Zoe.  

 

Ambra invece era sì fiera ma più sentimentale. Ambra si vedeva subito quando aveva qualcosa che non andava e non si risparmiava di certo a dire tutto quello che pensava sfogandosi istantaneamente come una diga straripante. Al contrario di Marzia invece che preferiva stare zitta e rimuginava accumulando la rabbia e sfogandola tutta in una volta nel momento meno opportuno e quando uno meno se lo aspettava. Accompagnata da una potente dose di sadismo violenza e soddisfazione personale. Esteticamente non erano identiche anche se erano gemelle, e pure opposte totalmente di carattere.  

 

Ma Zoe, un mix di carattere fra Ambra e Marzia, gli sarebbe mancata tantissimo.  

 

La sua impulsività, la sua pazzia, il suo sesto senso femminile che molte volte aveva salvato le loro vite, il suo lato pratico di vedere le cose. Il suo romanticismo ed il suo desiderio un giorno di potersi sposare in abito bianco in un mondo senza bombe e senza morti per strada, quando camminavi tra i boschi e nella tua mente.  

 

Senza morti, senza ombre, senza sangue.  

 

Un mondo colorato, allegro, pieno di opportunità, di sogni, di sorrisi, di strette di mano e di amore. Gli sarebbe mancata la sua allegria, quel suo buon umore che gli tirava sempre su il morale nei giorno più neri. Quando credevano di non potercela più fare. Quando oramai tutto sembrava perduto dopo aver smarrito ogni punto di riferimento. Invece lei era ancora lì. L'avrebbe ritrovata ancora lì, forse. Ancora. Nei suoi sogni. Nei suoi incubi. Ma ora se la voleva ricordare così com'era. Seria, concentrata, col suo sorriso e con quella sua voglia di fare che molte volte lo irritavano quando era molto stanco. Con la sua voglia di spettegolare sugli affari di questo e di quella. Con la sua professionalità e con il suo sangue freddo. Ma soprattutto con i suoi abbracci, le sue carezze, nei momenti più bui, uniti come sempre nella gioia e nel dolore. Proprio fino a quel momento. Sempre e comunque.  

 

Come fratello e sorella.  

 

Però, nessuno di loro aveva vissuto con lei la maggior parte della sua adolescenza. Marzia, a parte. Di quella vita, che, proprio in quel contesto, non era vita. Si cercava di sopravvivere... di riuscire ad arrivare all'alba del giorno dopo tutti interi. Ma lei non ce l'aveva fatta. Perchè lui sì? Si chiedeva Ryo. Perchè lui era ancora vivo mentre lei oramai era andata a fare compagnia alla loro madre Annette.  

 

Annette era morta cinque anni prima proprio in una imboscata del nemico, l'ennesima di una lunga serie infinita. 

 


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